Le risorse economiche di Affile poggiano essenzialmente sulla vite e sull’olivo. Un’abbondante raccolta di questi prodotti significa benessere e prosperità per il paese; la loro mancanza provoca seri problemi.
Il grano, il granoturco ed altri prodotti agricoli bastano appena al fabbisogno locale. Fin dal 1600 il poeta affilano Rutilio Scotti (i suoi manoscritti sono conservati a Roma nella biblioteca Ghisi) magnificava la fertilità di questa terra tanto adatta alla coltivazione della vite da rendere “per ciascheduna opera di zappa sei ed anco otto some di mosto”.
Anche se l’affermazione del Poeta seicentesco è alquanto iperbolica e perciò consona ai suoi tempi, la produzione di olio e di vino è molto consistente specie se rapportata alla piccola estensione del territorio ed alla sua asperità.
L’uva si divide in due categorie: uva bianca comune (un quarto della produzione) e la Cesanese, piccola e nera, di non bella apparenza, ma che produce vino prelibato e di gusto delicatissimo.
Affile deve in gran parte la sua notorietà a questo famoso prodotto decantato da tutti quelli che lo hanno gustato, ma specialmente dagli affiliani che ne vanno fieri.
Persino Garibaldi, nel 1849, gustò questo nettare prelibato.
L’etimologia di quest’uva risale al tempo dell’Affile romana. Le numerose colline che si estendono ad ovest del paese erano in quell’epoca coperte di boschi. Gli affiliani, tagliati questi (in latino caesi), chiamarono l’uva che in quelle colline maturò: Cesanese.
L’affiliano sa perciò che il vero Cesanese è soltanto quello che matura sulle colline e, nella raccolta, ne sceglie i grappoli vellutati e li spande su tavolati per ricavarne un prodotto migliore. Il vero Cesanese, infatti, ha un tenue colore e sapore di viola, diverso quid dagli alti vini che ingiustamente e hanno preso il nome.
Il Cesanese di Affile è stato anche premiato con medaglia d’oro alle mostre internazionali di Bruxelles, Milano, Parigi e Roma.